lunedì 26 maggio 2008

La trasparenza fiscale made in italy



IL FATTO

30 aprile 2008: L’Agenzia delle Entrate pubblica sul proprio sito i redditi di tutti gli italiani relativi all’anno 2005. Sembra quasi uno scherzo: con pochi ”clic” infatti si può consultare il reddito del proprio avvocato, del vip di turno o anche dell’odiato vicino di casa. Tuttavia non si tratta di una burla, e così scatta immediatamente il passaparola tra gli internauti italiani che nel giro di pochi minuti sommergono di visite il sito www.agenziaentrate.gov.it, tanto da renderlo praticamente inaccessibile (in quanto i caricamenti avevano assunto tempi biblici). Lo stop ufficiale alla consultazione però arriva solo qualche ora dopo, ma è qualcosa di più serio: l’Autorità Garante della privacy vuole vederci più chiaro, ed in attesa di ottenere più informazioni, chiede formalmente la sospensione temporanea della pubblicazione dei dati dal sito. Sembrerebbe dunque che la storia possa finire qui per il momento: chi è stato più veloce a sbirciare i redditi dei propri conoscenti si può dire soddisfatto, tutti gli altri dovranno attendere la decisione del garante. Le infinite risorse della rete però calano il cosìdetto “asso dalla manica”. Sono bastate infatti poche ore, per permettere a qualcuno di scaricare i dati dal sito e metterli in circolazione nelle reti p2p. I dati dunque tornano accessibili praticamente a tutti anche se con modalità di accesso diverse. Viene eluso il veto posto dal Garante, tutti possono nutrire finalmente la propria curiosità,o meglio, il proprio animo pettegolo, ed in poco tempo, forum e blog si riempiono di lamentele di tutti i tipi. C’è chi si dice contrario a priori alla pubblicazione, chi si preoccupa che malavitosi ed assassini possano essere incentivati ed aiutati nel scegliere le proprie vittime con maggior perizia, e chi (quest’ultimo gruppo mi sembra il più numeroso) si ritiene indignato dopo aver scoperto quanto dichiara al fisco qualche conoscente, e dunque grida allo scandalo, scoprendo (o fingendo di scoprire) solo ora che l’Italia è un paese di evasori.

Nel frattempo il Garante dopo aver esaminato meglio la situazione decide di vietare definitavamente la pubblicazione ufficiale dei dati. L’emorragia di dati fiscali causata dai sistemi p2p però è inarrestabile e così le autorità attraverso i principali mezzi stampa si limitano solo a ricordare che l’uso improprio dei dati scaricati può portare fino all’arresto...ma la “frittata oramai è fatta”!

LA LEGGE

Premesso tutto ciò, cerchiamo di capire su quali basi legislative l’Agenzia delle Entrate ha azzardato una mossa simile, e, soprattutto, perchè il Garante si è opposto all’iniziativa. L’Agenzia delle Entrate ha permesso la pubblicazione degli elenchi perchè li considera dati pubblici. In virtu di una legge del 1973, infatti, è possibile accedere ad informazioni di questo tipo recandosi presso un qualsiasi comune e facendone esplicita richiesta. In più è  lo stesso recentissimo Codice dell’Amministrazione Digitale che prevede che la Pubblica Amministrazione renda accessibili attraverso tecniche informatiche i dati considerati pubblici. Per contro l’accusa principale mossa dal Garante è quella di aver agito illegittimamente in quanto la legge non attribuirebbe discrezionalità in merito alla pubblicazione dei dati da parte dell’Amministrazione finanziaria, ma solo in merito alla modalità di creazione degli elenchi. La situazione dunque è piuttosto controversa e sul caso ci sono diverse scuole di pensiero nonostante,per il momento, il Garante abbia messo momentaneamente la parola fine al caso.

ALL’ESTERO

I giornali di mezzo mondo hanno ironizzato su questa vicenda, divertendosi ad evidenziare quanto guadagna questo o quel VIP italiano. Certo, all’estero possono permettersi di ironizzare perchè sono ben lontani dai nostri problemi in tema di fiscalità. Negli Stati Uniti ad esempio c’è un tasso bassissimo di evasione fiscale, poichè il reato è considerato come gravissimo, ed  è punito con pene molto severe. Un paese che pubblica i redditi online invece è l’Irlanda, ma lo fa solo con gli evasori per metterli alla berlina davanti a tutta la nazione...per la cronaca l’elenco di quest’anno ammonta a circa un centinaio circa di nomi in tutto..

IN CONCLUSIONE

E’ la solita storia insomma: all’estero l’evasore è punito severamente e mal considerato dai suoi concittadini; in Italia l’evasore è semplicemente una persona furba che usa degli stratagemmi per pagare meno tasse. Dunque credo che questa sorta di “voyeurismo fiscale” non possa che far bene al nostro paese. Il trend dell’evasione infatti non tende a diminuire e dato che le istituzioni non sono in grado di arrestare il fenomeno, questa sorta di “caccia agli evasori” tutta italiana servirebbe per lo meno a far “perder la faccia” al nostro vicino di casa evasore. Non sarà molto, ma è pur sempre un buon inizio.

La Cina nell’anno delle olimpiadi : uno sguardo nel web tra informazione e censura


Tutti sappiamo quello che sta succedendo in questi giorni in Tibet. Siti internet, radio, giornali e televisoni di quasi tutto il mondo stanno dando ampio risalto agli avvenimenti vergognosi messi in atto dalla politica dittatoriale del governo cinese nella terra del Dalai Lama. E’ bene sottolineare quel “quasi” però. Si, perchè, esiste un paese dove tutto questo passa inosservato, o meglio, viene raccontato con un punto di vista completamente diverso...parliamo chiaramente Cina!!

 

La Cina, il paese dei “più” : il più grande, il più popoloso, ma anche quello con più utenti connessi in rete (più di 210 milioni) e con la censura più stringente sul web. Da quando Internet è sbarcato anche a Pechino, il governo nazionale è sempre stato attento nel monitorare il traffico di dati ed informazioni che potevano uscire, ma soprattutto entrare, all’interno del paese. Se è vero infatti che tutti i grandi siti cinesi come Badu e Soho(per altro cloni dei più famosi cugini d’oltreoceano statunitensi)sono nati sotto il controllo diretto del governo di Pechino, grandi polemiche invece hanno suscitato le politiche adottate dalle grandi aziende americane come Google,Microsoft e Yahoo, che per poter espandere il loro mercato anche all’interno della grande muraglia, hanno dovuto sottostare alle censure ed ai filtri imposti dalle autorità cinesi. Su google.cn già da tempo infatti, la ricerca di parole come “libertà per il tibet”, “fallimento della politica di Mao” e “diritti umani” non darà alcun risultato. Ultimamente poi anche youtube è stato filtrato a causa di alcuni video che testimoniano le violenze messe in atto dalla polizia cinese in Tibet. Ma oltre a censurare, come già accennato sopra, il governo cinese si diletta anche nella manipolazione delle informazioni. La questione tibetana, infatti, oltre a non poter esser seguita su alcun sito straniero, è stata radicalmente stravolta e distorta dai pochi siti cinesi in cui viene trattata, tanto da trasmettere esattamente un messaggio contrario alla realtà dei fatti. Vengono attaccati i media stranieri, rei di aver montato un caso eccessivo e di far falsa informazione tesa a screditare di proposito la Cina. Inoltre sono messe in risalto delle presunte violenze subite da cittadini cinesi in Tibet. Versioni dei fatti che sembrano incredibili e assurde per un occidentale, ma che risultano più che credibili in patria, tanto che su un noto portale cinese(www.sina.com) sono più di 2 milioni i firmatari di una petizione che si scaglia contro “la rappresentazione distorta della realtà” che i media esteri hanno dato del caso Tibetano, e che sostiene l’iniziativa del governo cinese con grande spirito nazionalistico.

 

A pochi mesi dall’inizio delle prime olimpiadi con gli occhi a mandorla dunque, nonostante i 210 milioni di cybernauti, la forte censura che ha già oscurato migliaia di siti e circa una quarantina di navigatori finiti in prigione per aver espresso opinioni contrarie a quelle del regime, per la prima volta l’opinione pubblica di tutto il mondo sta per focalizzare la sua attenzione seriamente sul “fenomeno Cina”, un grosso calderone pieno di contraddizioni e problemi, un paese ricco di tradizioni ed imposizioni che si scontrano con il progresso e la modernità.

Di certo le pressioni occidentali non faranno cadere la dittatura nè diminuire la censura, sebbene le richieste del comitato olimpico fossero orientate soprattutto verso quest’ultima più realistica richiesta. All’inizio poi la tendenza del governo cinese peraltro, sembrava anche assecondare questo indirizzo. Poi è scoppiato il caso tibetano con i suoi annessi problemi e tutto è tornato come prima. Staremo a vedere nei prossimi mesi cosa accadrà...stay tuned

Il WiMax, la tecnologia del futuro!


Anche in Italia sono state assegnate le licenze d’uso di quella che è considerata da tutti la tecnologia dei prossimi 20 anni. Vediamo cos’è e perchè potremmo amarlo!


l WiMax (acronimo di Worldwide Interoperability for Microwave Access) è una tecnologia che permette l’accesso a reti di telecomunicazione a banda larga e senza fili con gran facilità e mantenendo costi estremamente bassi. Supporta velocità di connessione fino a 70Mbit/s e non avendo bisogno di cavi (ma soltanto di ripetitori di onde radio ogni circa 50 km) permetterà finalmente una diffusione capillare della Rete anche in tutte quelle zone del nostro territorio che, attualmente, non sono raggiunte per diversi motivi (eccessivi costi per le aziende telefoniche, difficoltà di cablatura etc ecc) . Soltanto per dare qualche numero, si pensa che siano circa 10 milioni disseminati in più di 8000 comuni, gli italiani che non hanno a disposizione in famiglia o in azienda ,di un collegamento per navigare in rete ad alta velocità. Il WiMax dunque è in grado di abbattere queste frontiere, di superare il cosìdetto Digital Divide (divisione tra chi può e chi non può accedere alle tecnologie), nel campo della rete fissa, ma non solo. Essendo una tecnologia senza fili con un segnale in grado di viaggiare per decine di chilometri da un ripetitore all’altro, il WiMax infatti nutre grandi ambizioni anche nel campo della telefonia mobile. In Germania, ad esempio, un piccolo operatore è riuscito ad offrire a fronte di un modesto canone mensile, connessione alla rete senza limiti e chiamate infinite sui numeri di rete fissa. Se anche in Italia ci dovessimo trovare di fronte a situazioni del genere, con piccoli operatori che proporranno offerte così concorrenziali, i grandi operatori telefonici saranno seriamente costretti a rivedere i propri conti e a dover ritoccare sensibilmente verso il basso le loro tariffe.
Nel nostro paese il dibattito attorno al WiMax è stato particolarmente controverso poichè le frequenze utilizzate da questa tecnologia erano riservate solamente per utilizzi militari. Così per permetterne l’uso ai civili( e dunque ad aziende private), lo Stato è stato costretto prima ad individuare nuove frequenze da destinare ad usi militari, e solo successivamente ha potuto cedere al ministero delle comunicazioni le vecchie frequenze (3,4-3,6 ghz). Quest’ultimo poi ha indetto finalmente un’asta pubblica per la concessione d’uso delle stesse ai privati. L’Asta in questione si è chiusa poco tempo fa, e, contro ogni previsione, le licenze sono state assegnate in gran parte a piccoli operatori. Sono aziende come la E-via, la AFT e soprattutto AriaDSL (del finanziere israeliano Davide Gilo), che hanno investito molto in questo progetto (solo quest’ultima 47 milioni di euro) tanto che l’ammontare dell’incasso finale è stato di circa 130 milioni di euro (più che in Francia). Le licenze avranno una durata di 15 anni a partire dalla data di rilascio, saranno rinnovabili e non potranno essere cedute a terzi se non dietro preventiva autorizzazione del ministero delle Comunicazioni. L’unico timore, dunque, è che gli operatori, volendo rientrare il prima possibile delle ingenti somme investite, rischino di proporre prezzi poco competitivi, minando in partenza le speranze di successo di una tecnologia con un grandissimo potenziale. Ben presto vedremo come finirà, dato che le aziende vincitrici hanno l’obbligo di cominciare a sfruttare le licenze entro 30 mesi dall’assegnazione dell’asta. Il WiMax insomma, ormai è tra noi.

Amazon lancia Kindle, un nuovo ebook reader


Dopo l'Ipod per gli mp3, sta per scoppiare una nuova rivoluzione digitale?


Quello che è stato l'ipod per gli mp3 è storia recente. La creatura di Steve jobs ha completamente rivoluzionato il modo di ascoltare la musica grazie alla sua semplicità d'utilizzo ed al suo stile inconfondibile, riuscendo ad entrare nell'immaginario collettivo della gente addirittura come sinonimo di player mp3. Grazie all'iniziativa di Amazon però potremmo trovarci di fronte ad un fenomeno analogo, ma con protagonisti diversi: gli ebook nella parte degli mp3, ed appunto Kindle in quella dell'Ipod. Il nuovo ebook reader presentato da Amazon infatti, aspira a proporsi come leader di un settore che fino ad ora ha stentato a decollare. Sul mercato infatti esistono già diversi prodotti analoghi di aziende concorrenti (Sony su tutte con il suo "Sony reader"), ma nessuno di questi è mai riuscito a fare da traino per il settore, e a far esplodere "l'ebook mania". La domanda che ci poniamo dunque è questa: il Kindle ha le carte in regola per poter riuscire in un'impresa simile? Prima di rispondere, analizziamolo nel dettaglio.


Punti a suo favore sono senz'altro l'utilizzo di una tecnologia basata sul così detto "inchiostro digitale", l'utilizzo del wi fi, una capienza di 256 mb di memoria(ma c'è anche un lettore di SD Card che supporta schede fino a 4 GB), una batteria che garantisce un autonomia di circa 30 ore al massimo delle sue funzioni e l'integrazione del sistema Whispernet, che evita l'obbligo del possesso di un pc per acquisire gli ebook. Grazie a quest'ultima tecnologia infatti, ogni mattina potremo scaricare il nostro quotidiano preferito dalla rete, o ci potremo collegare direttamente allo store di Amazon e scegliere tra i quaranta mila libri già presenti, un pò come avviene tra iPod e iTunes. Per collegarsi poi non sarà necessario nemmeno cercare un hotspot wi fi, dato che l'innovativo sistema introdotto sul Kindle dai ragazzi di Amazon si appoggia alla rete 3G. La connessione inoltre (per ora la copertura è garantita solo negli USA) è gratuita, e dunque si pagheranno solo i libri che si decideranno di acquistare (si parla di prezzi che oscilleranno dai 2 ai 10 dollari a seconda del titolo prescelto). Ultima e più importante nota a favore del Kindle, riguarda il notevole risparmio di carta che apporterebbe una sua eventuale diffusione su larga scala. Se dovesse prender piede un sistema del genere, infatti, ogni giorno risparmieremmo circa il 70-80% di carta, con evidenti vantaggi economici ed ambientali.


Ma il Kindle purtroppo ha anche le sue pecche, poche eh, ma di un certo peso a dir la verità. 
Arrivo al punto senza girarci troppo intorno. Con tutto il rispetto per chi l'ha progettato, ma, esteticamente è veramente orrendo. Forma incomprensibile, plasticone bianco e design anni 80 non invogliano certo a correre nei negozi con la carta di credito in mano. Si sa che al giorno d'oggi il design la fa da padrone (ipod docet), e allora perchè trascurare la linea di un gingillo che aspira a diventare un oggetto di culto? La gente sarebbe disposta a spendere qualsiasi cifra per un prodotto hi tech di qualità, ma purchè si tratti di qualcosa che piaccia. L'ipod ad esempio non è il miglior player mp3 in circolazione nè il più economico (anzi è il più costoso), ma è il più venduto perchè ha una linea "stilosa". Piace a tutti insomma, cosa che non si può dire del Kindle. Con queste premesse quindi come si può convincere qualcuno a spendere 400 dollari quindi? Avete letto bene, il Kindle di Amazon debutta sul mercato alla "modica" cifra di 400 dollari (399 per l'esattezza). Dunque, tornando alla domanda iniziale, dove può arrivare questo Kindle? Gli esperti del settore ormai sono quasi tutti concordi nel sentenziare una bocciatura netta. Il Kindle in sostanza incarna il classico "vorrei ma non posso" : è innovativo ma non troppo(esistono già ebook reader), è utile ma non indispensabile (i libri fino ad ora li abbiam letti lo stesso) e poi, come già detto, è costoso ed oggettivamente brutto.. Che anche il mercato degli ebook attenda l'avvento di Steve di Jobs per esplodere veramente?Staremo a vedere

Sarkozy e la sua battaglia personale al p2p


In Francia, l'iniziativa shock del premier fa già discutere...ma incombono seri dubbi di legittimità costituzionale...


Ultimamente si parla di lui soprattutto sui giornali scandalistici ed i tg rosa di mezzo mondo a causa della sua presunta love-story con un’affascinante giornalista di Canal Plus, Laurence Ferrari. Ma gli internauti francesi invece, quando pensano al premier francese Nicolas Sarkozy, collegano la sua immagine ad una recente proposta di legge che ha avanzato contro il p2p, proposta che definirei “costituzionalmente discutibile” per usare un eufemismo. Nel paese del celeberrimo “liberté égalité fraternité” l’iniziativa del “Sarko”(come lo chiamano bonariamente in patria) comincia perlomeno a far vacillare l’idea di liberté che i cuigini hanno esportato in tutto il mondo. L’idea è semplice: un accordo tra lo stato, i provider e le Major per arrestare il dilagante fenomeno del p2p. Tutti gli utenti che useranno sistemi di file sharing saranno rintracciati dai provider e riceveranno un avviso a casa che li intima di smettere dal compiere l’illecito in questione.

Dopo due o tre avvertimenti se l’utente si dovesse mostrare ancora recidivo, e dunque contrario ad adottare il cambiamento suggerito, i provider dovranno tagliargli l’accesso alla rete. A dir poco incredibile se pensiamo che, mentre qui in Italia qualche settimana fa discutevamo sulla proposta del senatore Pecoraro Scanio di poter addirittura legalizzare il p2p pagando un canone mensile, in Francia invece hanno tagliato corto alla questione vietandolo senza alcuna discussione. L’utente francese recidivo infatti verrebbe iscritto in una sorta di “blacklist” e non avrebbe più la possibilità di stipulare un contratto di connessione con nessun altro provider. Un accordo incredibile dunque, che sembra una vera e propria manna dal cielo per le Major. Non a caso una delle menti del progetto è proprio il CEO di Fnac, Denis Olivennes, una delle più grandi multinazionali francesi di distribuzione di film, musica, libri e quant’altro. 

Ma è legittima una proposta del genere? E’ possibile che gli utenti si possano vedere privati della libertà di navigare in rete in modo così arbitrario? E soprattutto, il reperimento delle informazioni necessarie al loro inserimento nella “famosa” blacklist non costituirebbe una grandissima violazione della privacy? Il caso Peppermint ci ha insegnato che ancora una volta, per adesso, la giurisprudenza ha difeso l’utente contro iniziative analoghe a quella del “Sarko”. Dunque, dato che la metodologia con cui si reperirebbero i dati degli utenti sarebbe simile al caso sopra citato, a mio avviso ci sono seri dubbi sulla costituzionalità di questa proposta. Però ci si può affidare solo ai tribunali per difendere i nostri diritti? In realtà basterebbe che il legislatore facesse più attenzione ogni qualvolta legifera…ma forse sarebbe chiedere troppo, alla classe politica talvolta interessa più conquistare la folla con proclama demagogici o proporre leggi che sembrano veri e propri accordi lobbistici, piuttosto che ragionare dieci minuti in più su un testo di legge che interesserà milioni di abitanti.

Per adesso comunque rimane solo una proposta, poiché dovrà essere sottoposta al vaglio di diversi organi prima di poter ricever l’approvazione definitiva.
In Italia, da parte nostra, c’è già chi strizza l’occhio a questa iniziativa, anche se le associazioni di consumatori sono già insorte definendola “liberticida ed antieconomica”. Vedremo come andrà a finire...Stay tuned

LEGALITA’ E INTERNET, RAPPORTO DIFFICILE?


Intervista al Prof. Vincenzo Zeno Zencovich, docente ordinario presso il nostro Ateneo delle cattedre di diritto privato comparato, sistemi giuridici comparati e diritto delle comunicazioni, nonchè condirettore de "Il diritto dell'informazione de dell'informatica"


Il Disegno di legge (Ddl) Levi. Una proposta che ha fatto molto discutere nelle scorse settimane poichè metteva a rischio la sopravvivenza di praticamente tutti i blog italiani. Che ne pensa?

Mi sembra che in realtà questo disegno di legge sia ancorato ad una visione preistorica del mondo dell’informazione e della comunicazione. Il tentativo di fornire definizioni che, tra l’altro, avrebbero effetto solo in Italia e non nel resto del mondo nell’attuale situazione di comunicazione globale, mi pare un’ipotesi velleitaria. Un tentativo di limitare le straordinarie capacità informative di cui dispongono tutti i cittadini mettendo delle “gabbiette” di cui veramente non si sente il bisogno. Esiste già il diritto ordinario che è più che sufficiente. Il problema semmai è un problema di enforcement: non abbiamo bisogno di nuove leggi ma dobbiamo vedere un attimo come applicare quelle già esistenti.

Secondo lei questo Ddl è stato semplicemente redatto in modo erroneo, o il suo vero intento era realmente quello di “zittire” i blog italiani, soprattutto quelli più scomodi, come ad esempio quello di Beppe Grillo?
Se devo esprimere il mio parere in tutta sincerità, se Beppe Grillo facesse il comico anzichè un mestiere che non gli è proprio,sarebbe meglio per tutti... 
Detto questo, non secondo me non è tanto un problema che riguarda solo i blog, altrimenti ci si riduce ad una visione un pò restrittiva dell’uso del web. Il punto è che tutti possono usare le risorse di informazione elettronica e fare informazione. Ma nel momento in cui ciò accade, obbligare all’iscrizione in un registro piuttosto che in un altro, ci riporta ad una visione analoga a quella del 1400-1500 quando chi aveva una macchina tipografica, per avere la possibilità di stampare, era obbligato ad ottenere l’autorizzazione dal sovrano. Questa è una visione che al giorno d’oggi non trova esempi analoghi in giro per il mondo.


Parliamo del Ddl sulla riforma del diritto d’autore proposto dal senatore Pecoraro Scanio. In pratica si tratterebbe di legalizzare la pratica del P2P a fronte del pagamento di un canone mensile da versare alle Major...
Il problema della riproduzione di contenuti digitali è un problema molto complesso ed ancora una volta di carattere planetario. Una soluzione nazionale francamente mi sembra risibile. Non si può pensare di risolverlo autonomamente in un singolo stato, poichè la maggior parte di questi contenuti provengono da paesi diversi (in particolare dagli Stati Uniti, soprattutto per quanto riguarda i contenuti audiovisivi e musicali). Detto ciò, ci sono alcuni equivoci da evitare. Sicuramente nel corso degli ultimi 25 anni c’è stata un’espansione ipertrofica del diritto d’autore, con i produttori di contenuti che hanno cercato di contrastare l’erosione di profitti dovuti alla digitalizzazione attraverso forme di tutela più stringenti e rigorose. Questa tendenza viene fortemente contrastata perchè nella comune percezione, gran parte di ciò che viaggia in rete è facilmente fruibile in maniera gratuita. Ma è una visione poco realistica e illegittima: stiamo sempre parlando di opere di ingegno da tutelare. Così come uno non va al cinema gratis non si capisce perchè debba poter scaricare gratis dalla rete lo stesso film. Mi sfugge proprio il senso di questa rivendicazione. Deve esser ben chiara però la differenza tra chi cede ad un amico una canzone e chi invece mette in rete dei film e consente a chiunque di riprodurlo senza pagare niente.


Software e hardware da tempo sono venduti assieme in modo inscindibile dai grandi produttori di computer. Recentemente però in Italia e in Francia ci sono state alcune sentenze giurisprudenziali favorevoli a consumatori che chiedevano il rimborso di licenze Windows pagate obbligatoriamente al momento dell’acquisto del notebook, ma in realtà non richieste. Acer per ora è l’unica azienda che ha previsto una procedura di rimborso standard delle licenze per tutti coloro che ne facciano richiesta. E’ d’accordo nell’abbattere del tutto quest’ennesimo cartello posto dalle grandi aziende e procedere direttamente alla vendita separata di software e hardware?
Dagli anni 70 negli usa il Department of Justice aveva imposto, o meglio, vietato, ad IBM la vendita abbinata di hardware e software. Da quella decisione che smantellò il monopolio di IBM e quindi dalla conseguente apertura del mercato, è nata Microsoft. Mi sembrerebbe assolutamente ovvio, e non dovrebbe essere solo un’iniziativa di una singola impresa, che a chiunque acquisti un elaboratore venga offerta in partenza la possibilità di scegliere tra diversi sistemi operativi. Attualmente invece o si sceglie Windows o un Macintosh. Non c’è altra possibilità. Tra l’altro anche il caso Macintosh è particolare. Nonostante non si trovi in una posizione monopolistica, non è possibile acquistare uno dei loro esteticamente bellissimi computer senza prendere anche i programmi Apple. Steve Jobs può esser più simpatico di Bill Gates perchè guadagna meno, ma il problema mi pare che sia assolutamente identico. Mi sembra che rientri nella normale regola della concorrenza, regola che da questo punto di vista mi sembra non venga molto rispettata.


Linux e la P.A. (Pubblica Amministrazione): un matrimonio possibile in futuro visto e considerato che permetterebbe di risparmiare i costi delle licenze e magari personalizzare di più i programmi secondo le proprie esigenze? 
Ritengo che una scelta del genere porterebbe una serie di effetti positivi. Innanzitutto un notevole risparmio di spesa pubblica sul costo delle licenze. Poi, un incremento delle capacità informatiche all’interno della P.A. perchè i programmi open source richiedono che la P.A. abbia al proprio interno delle persone che siano in grado di operare sui programmi stessi per poterli personalizzare a seconda delle esigenze lavorative. Questo dunque aumenterebbe sensibilmente la capacità tecnica del personale della PA. Infine ci sarebbe la possibilità di realizzare un meccanismo di condivisione di risorse informatiche dei programmi open source realizzati all’interno della pubblica amministrazione. Ad esempio, se il ministero della difesa progettasse un’efficiente sistema di gestione degli appalti questo programma potrebbe essere usato anche dal ministero dei trasporti.
Credo che sia una strada che debba essere seguita con forza seppur rispettando i tempi necessari. Il ministro Stanca aveva introdotto questo principio (e Stanca non era sospettabile di antipatia nei confronti dei grandi produttori poichè proveniva dll’IBM) ma confido che anche l’attuale maggioranza(che continua a occuparsi di innovazione tecnologica e di risparmio di spesa) insista altrettanto per l’adozione di programmi open source all’interno della P.A.

Voglio il computer ma non il sistema operativo


Per la prima volta sarà possibile ottenere il rimborso della licenza windows da parte di un produttore (Acer) qualora non fossimo interessati al suo utilizzo


Non tutti lo sapranno, anzi, la maggior parte di voi sicuramente non ci avrà mai pensato perché da anni è una prassi delle aziende agire in questo modo, ma quando acquistate un pc, vi viene venduto oltre alla componente hardware(il computer appunto), anche il software che vi permette di farlo funzionare( il sistema operativo windows). Ora, finché i sistemi operativi open source non erano molto diffusi tra il così detto utente medio di pc, nessuno aveva fatto sorgere alcun problema di sorta. Ultimamente però sono in costante aumento gli utenti che compiono il così detto “switch” e cioè il passaggio da windows ad un sistema Linux.

I motivi? Garantiscono stabilità e sicurezza, un’alta possibilità di personalizzazione del sistema a seconda delle proprie necessità, e soprattutto sono totalmente gratuiti. Ci si è cominciati a chiedere allora per quale motivo si debba esser costretti ad acquistare insieme al pc anche il sistema operativo windows , quando, non avendo più la volontà( né l’obbligo) di usarlo , appena arrivati a casa si sarebbe costretti a disinstallarlo e riporre il suo dvd su uno scaffale a far polvere. Sono partite allora le prime cause contro i grandi produttori di PC, che però, da parte loro, sono più che interessati a proseguire la vendita del “pacchetto completo”, poiché permette loro di guadagnare oltre che sulla vendita dell’hardware( di cui sono i produttori diretti) , anche su quella del software( in virtù di accordi che stipulano con la Microsoft alla quale garantiscono la vendita del sistema operativo windows pre-installato sulle proprie macchine). Da qui il motivo del veto posto da sempre dai produttori alla vendita separata del computer dal sistema operativo. Una situazione che sembra non poter resistere tanto a lungo però, dato che le lamentele dei consumatori ultimamente sembra siano state ascoltate da qualcuno.

Già nella vicina Francia qualche tempo fa, una sentenza di un giudice aveva stabilito che la vendita di hardware e software devono essere considerate in modo separato . Ma un caso analogo è avvenuto anche a Firenze dove un giudice di pace seguendo il principio della sentenza del collega transalpino ha condannato HP al rimborso del costo della licenza del S.O. previa restituzione della stessa. Un segnale che qualcosa sta cambiando, e che ha fatto vacillare tutte le sicurezze dei produttori di pc. Di qui a breve infatti, sull’onda di queste pronunce giurisprudenziali, si potrebbero ritrovare letteralmente sommersi da cause di richieste di rimborso del S.O. Fiutando il “pericolo”, dunque Acer ha intrapreso un’interessante iniziativa a favore dei consumatori, istituendo una procedura standard di rimborso per tutti gli acquirenti dei loro pc. Basterà contattare il call center dell’azienda, compilare un modulo e rispedirlo indietro(a proprie spese) insieme al cd di windows e ad una copia del documento d’acquisto del prodotto. In questo modo si potranno riavere i 129 euro della licenza base di windows vista che non avevate chiesto senza grandi difficoltà.

Certo, sarebbe sempre meglio avere la possibilità di poter scegliere prima dell’acquisto se volere anche il S.O. Microsoft o meno ( cosa che sta facendo Dell per adesso solo negli USA, dando all’acquirente la possibilità di scegliere dei computer con preinstallato Vista o Ubuntu) ma è comunque un buon passo avanti nei confronti dei consumatori che fino a questo momento per esercitare un proprio diritto erano stati costretti a rivolgersi ad un avvocato ed intavolare lunghi processi. Dunque, qualora aveste appena acquistato un notebook Acer e non foste interessati a servirvi di Windows Vista, questo è il link per ottenere il rimborso, Stay tuned!

UN CANONE PER LEGALIZZARE IL P2P

Un innovativo disegno di legge prevede la possibilità di usare p2p per scaricare materiale protetto da diritto d’autore in libertà a fronte di un canone mensile.


Dopo esserci occupati del Ddl sull’editoria (che come preannunciato alla fine ha subito modifiche tali da renderlo innocuo per i blog italiani), un altro disegno di legge sembra poter suscitare clamore:Ddl s-1769 Norme in materia di sostegno all’attività cinematografica e di diritto d’autore” proposto dal Senatore Pecoraro Scanio. 
Gli obiettivi del decreto sono essenzialmente due: sostenere le imprese che operano nel settore cinematografico, discografico e nella produzione di software (le così dette Major) e modificare l’attuale disciplina prevista per chi condivide opere coperte da diritto d’autore senza scopo di lucro ma per uso personale (che prevede sanzioni penali fino a 4 anni di reclusione e amministrative fino a 15000 euro di sanzione economica).
L’idea è semplice: inserire una sorta di tassa pari all’8% sul prelievo dei canoni di connessione a banda larga (il vostro abbonamento Adsl per intenderci) a cui farebbe seguito un abbassamento dell’IVA sugli abbonamenti stessi del 10% . In pratica: lo Stato rinuncerebbe ad incassare una parte dell’IVA per sostenere l’attività delle imprese che operano nei settori sopra citati; i cittadini senza spendere nemmeno un centesimo in più rispetto a quel che pagano oggi, sarebbero liberi di scaricare dalla rete qualsiasi tipo di file senza incorrere in nessun tipo di sanzione; le Major incasserebbero i proventi ottenuti dal canone come una sorta di risarcimento per i danni subiti dal download di opere protette. Insomma si tratterebbe di una sorta di equo compenso che dovrebbe mettere tutti d’accordo. “Dovrebbe”. 
La realtà infatti è ben diversa. Sebbene chi usa p2p abitualmente possa essere d’accordo (e parliamo di circa 8 milioni di utenti secondo una stima del disegno di legge) gli scontenti non mancherebbero. Da una parte ci sarebbero i molti utenti che non scaricano file protetti lamenterebbero il fatto di dover pagare una tassa che nei loro confronti sarebbe ingiusta ; dall’altra le Major, contrarie, poiché, secondo quanto afferma Enzo Mazza, presidente della Federazione dell'Industria Musicale Italiana, sarebbe “irreale e sbagliata” e “non andrebbe assolutamente a vantaggio delle nuove produzioni musicali, perché non farebbe altro che cristallizzare posizioni dominanti nel mercato tradizionale”. Le entrate infatti verrebbero ripartite tra gli artisti di maggior successo e ciò non farebbe altro che continuare ad alimentare il loro business e loro produzioni, tarpando così le ali ai nuovi talenti.

Opinioni condivisibili ma anche facilmente contestabili.


Per quanto riguarda i rilievi mossi dalle Major due casi su tutti mi fanno pensare che siano del tutto pretestuosi: quello degli Arctic Monkeys, band sconosciuta e senza etichette discografiche alle spalle che si è pubblicizzata con la messa in internet e nei canali peer-to-peer (p2p) del loro primo disco; ed i Radiohead , uno dei gruppi più importanti del panorama mondiale, che recentemente hanno distribuito il loro ultimo disco, In Rainbows, su internet ad un prezzo libero a scelta dell’utente (anche 0 euro). Due situazioni completamente diverse da una parte una band esordiente, dall’altra un gruppo affermato), ma legate da un filo conduttore: il successo di un disco ottenuto attraverso la rete. Sì perché gli Arctic Monkeys con il loro primo disco batterono il record di vendite di un album nella prima settimana dall’uscita nei negozi, mentre i Radiohead, oltre ad aver ottenuto incassi ottimi con il download online, stanno riscuotendo un gran successo anche con la vendita del cofanetto in edizione speciale venduto per i collezionisti ad un prezzo maggiorato rispetto ai normali cd (40 sterline). Questo significa che un gruppo di qualità può vendere dischi, o addirittura può emergere, anche senza le martellanti campagne pubblicitarie organizzate dalle case di produzione. Questo significa che le band potrebbero fare a meno della pressante presenza delle Major. Questo significa che non si tratta di voler salvaguardare l’arte ma è solo una questione di interessi, interessi con cifre a sei o sette zeri.
Per quanto riguarda invece i rilievi posti dagli utenti che non scaricano materiale protetto da diritto d’autore, concettualmente, hanno sicuramente ragione: perché dovrei esser costretto a pagare una tassa per un servizio che non usufruisco? L’ingiustizia sarebbe palese e poi un “balzello” analogo gli italiani già lo pagano ogni volta che acquistano cd e dvd vergini (parliamo del contestatissimo decreto legislativo N°68 del 2003) . Costringere tutti a pagare quindi non sarebbe moralmente giusto (io stesso sono stato uno dei più ferventi critici della tassa sui cd). Si potrebbe risolvere il problema facilmente con una piccola modifica all’attuale disegno di legge, prevedendo la possibilità di versare volontariamente quell’8% alle Major, e decidere quindi di non voler avere problemi legali di nessun tipo per poter scaricare in libertà. Alla fine non so quanti rifiuterebbero di poter usufruire “a pieno” delle risorse della rete in cambio di pochi centesimi al mese…

Un disegno di legge del genere è senz’altro innovativo e rivoluzionario in un mondo dove le Major sono perennemente in guerra con gli utenti a suon di carte bollate e diffide, ed un’eventuale conversione in legge, non potrebbe che suscitare grandissimo clamore a livello mondiale poiché renderebbe il nostro paese la prima nazione occidentale riuscita a risolvere tale annosa questione sbilanciandosi a favore del p2p e scontentando le Major. Permettetemi dunque un velo di pessimismo : una legge di una tale importanza (soprattutto dal punto di vista economico, ma non solo, visto i risvolti penali previsti dalla disciplina attualmente in vigore) non può passare… così inosservata. Non so perché, ma immagino che se mai dovesse arrivare al vaglio delle camere, verrebbero esercitate enormi pressioni esterne affinché questo Ddl finisca nella spazzatura o venga ridimensionato e stravolto nel suo significato a colpi di emendamenti . Spero di sbagliarmi… vedremo come andrà a finire. Stay tuned!

domenica 25 maggio 2008

Riforma sull'editoria: è la fine per i blog italiani?


Un disegno di legge del governo sta facendo tremare tutti i blogger del belpaese


Se ne parla ormai da giorni. In rete, i siti delle principali testate giornalistiche italiane, i blog ed i forum di ogni genere sono sommersi da commenti di navigatori sconcertati ed impauriti dal disegno di legge (Ddl) sulla riforma dell’editoria che il consiglio dei ministri ha approvato il 12 ottobre scorso e che adesso attende di essere sottoposto al vaglio delle camere.

Un testo complesso e contraddittorio, che si dilunga per 20 pagine e 35 articoli senza però riuscire ad ottenere il risultato sperato, che, proprio secondo Riccardo Levi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nonché padre del Ddl, "è di promuovere la riforma del settore dell'editoria, a sostegno del quale lo Stato spende somme importanti", per "tutelare e promuovere il pluralismo dell'informazione" . Si perché, in sostanza, se venisse approvata, questa legge obbligherebbe chiunque possieda un Blog a sottoporsi ad un complesso processo burocratico per iscriversi al ROC (Registro degli Operatori di Comunicazione), un registro speciale custodito dall’Autorità per le Comunicazioni.

Ve la immaginate la vostra sorellina quattordicenne che per continuare a scrivere sul proprio blog passa ore in fila da un ufficio all’altro a compilare moduli, acquistare bolli ed “invecchiare” in attesa dei lunghi tempi della burocrazia italiana? In realtà poi tutto ciò non basterebbe nemmeno, perché per la registrazione di ogni sito sarebbe necessario anche un editore ed un giornalista iscritto all’albo che funga da direttore responsabile. Improponibile per qualsiasi normale utente, di conseguenza il 99,9% dei blog chiuderebbe all’istante! Ma non è finita, perché il Ddl aggiunge anche che la responsabilità penale ex art 57 e 57 bis (omesso controllo su contenuti diffamatori) fino ad ora imputabile soltanto alla normale stampa, verrebbe estesa anche ad internet. In pratica ci ritroveremmo con una legge che potrebbe suscitare anche l’invidia della Cina.


Personalmente però mi sento di credere alla parole del sottosegretario Levi ed alla sua buona fede riguardo le vere intenzioni del decreto. Il fatto è che questo disegno di legge in realtà è scritto male, o meglio, è troppo ambiguo, e quindi lascia spazio anche ad interpretazioni non volute dal solito legislatore “distratto”. Visto il gran risalto ottenuto dalla vicenda poi non credo che ci siano dubbi sul fatto che questa legge subirà molti emendamenti che (ci auguriamo) la stravolgano ed eliminino qualsiasi possibile punto ambiguo. Numerosi esponenti politici infatti non hanno tardato nell’esprimere giudizi di condanna nei confronti dell’attuale Ddl schierandosi apertamente dalla parte dei blogger. Tra i tanti commenti raccolti però fanno sorridere le dure prese di posizione dei ministri Di Pietro e Gentiloni: il leader dell’Italia dei Valori infatti ha dichiarato: “Per quanto mi riguarda, questa legge non passerà mai, a costo di mettere in discussione l'appoggio dell'Idv al governo", mentre per il ministro delle comunicazioni è: “Un errore da correggere" .

Ora, dato che, come ho già detto, questa legge è stata già approvata dal Consiglio dei ministri, verrebbe spontaneo chiedersi a cosa pensavano Gentiloni e Di Pietro quando hanno votato quel 12 ottobre…e di conseguenza quanta attenzione viene riservata alla lettura ed all’analisi dei disegni di legge in sede di discussione…


A parte tutto, comunque, questo disegno di legge verosimilmente subirà modifiche sostanziali e “l’allarme” rientrerà. Insomma, questa volta c’è andata bene, ma se non ci fosse stata un’attenta analisi del Ddl da parte dei maggiori organi di informazione che hanno fatto scoppiare il “caso”, cosa sarebbe successo? Possiamo fidarci della competenza di chi ci governa? Stay tuned…

Qtrax: finalmente si può scaricare musica gratis da internet legalmente...almeno in teoria...


Di Qtrax sicuramente ne avrete sentito parlare tutti. Dopo il suo annuncio in pompa magna al Medim di Cannes da parte del suo Ceo, Allan Klepfisz, tutte le più importanti testate giornalistiche del mondo, dal Times a Wired fino a Repubblica, hanno lanciato la notizia in prima pagina scatenando grande curiosità tra gli utenti. Grazie ad un accordo tra le Major discografiche (Sony, Bmg, Emi, Universal, Warner) ed appunto Qtrax, sarà possibile scaricare gratuitamente, ma soprattutto legalmente, canzoni dalla rete tra un catalogo di circa 25 milioni di brani. In cambio, gli utenti per poter usufruire del servizio, dovranno semplicemente osservare un pò di pubblicità durante il download. Le major in questo modo avrebbero il controllo del traffico di canzoni scaricate ed in base alle percentuali dei download eseguiti, ripartirebbero i proventi delle pubblicità equamente tra i cantanti. Tutto troppo bello per essere vero? Purtroppo si, dato che appena poche ore dopo l’annuncio, le Major hanno smentito qualsiasi accordo del genere con Qtrax. Ma allora dov’è la verità in questa storia? Allan Klepfisz dopo il distacco preso dai discografici, ha rettificato, sostenendo che in realtà le trattative sono piuttosto avanzate ma effettivamente non c’è ancora alcun accordo. Attualmente la beta per Windows di Qtrax, è scaricabile dal suo omonimo sito, www.qtrax.com, ma chi l’ha provato, come abbiamo perfettamente descritto nel nostro sito di M’P on web,  sostiene che una volta installato e scelta la canzone, il programma metta in attesa e non scarichi nulla. Dunque bisognerà aspettare ancora un pò probabilmente per avere un servizio funzionante. Intanto però, Qtrax ha avuto una grande pubblicità e sicuramente tornerà a far parlare di sè quando il servizio diventerà realmente attivo.

Ma un’idea del genere, potrebbe definitivamente risolvere il problema della pirateria?

Il progetto è senz’altro innovativo e probabilmente la strada da seguire è proprio questa per poter arrestare il dilagante fenomeno del p2p di file protetti da diritto d’autore, anche se permangono ancora dubbi e difficoltà. Innanzitutto, i brani scaricabili sono protetti da DRM, e quindi eseguibili solo da Songbird, un player fornito dallo stesso Qtrax. Di conseguenza viene esclusa ogni compatibilità con il lettore mp3 più venduto al mondo, l’iPode, tagliando fuori milioni di utenti che scaricano musica da sentire non sul computer. Inoltre c’è un problema di mentalità dell’utente: cercare di modificare il pensiero di milioni di ragazzi appartenenti a generazioni cresciute pensando che la musica sia gratuita, non sarà semplice. Perchè registrarsi a Qtrax se la stessa canzone la si può trovare su un qualsiasi programma p2p senza lucchetti e senza pubblicità? Sui vari emule torrent e bearshare poi, non si trovano solo canzoni, ma anche video, testi, programmi e giochi. Focalizzare l’attenzione solo sul download di mp3 dunque è riduttivo di fronte ad un problema certamente più esteso.

Per adesso dunque è inutile considerare Qtrax come la panacea per tutti i mali, sia perchè ancora realmente non funziona, sia perchè il problema p2p è decisamente più vasto. In due parole, l’idea è ottima ma il progetto Qtrax è perfettibile. Aspettiamo novità in merito. 

E' arrivata la "degradazione" su internet!


Una legge approvata in senato poche ore prima di Natale minaccia una rivoluzione dei contenuti sul web


E’ proprio così, i “ragazzi” di Montecitorio quando si tratta di affrontare argomenti riguardanti il mondo dell’informatica, non ne combinano una giusta, nemmeno se si impegnano.

L’ultimo “pasticcio” combinato cui ci riferiamo, è il disegno di legge approvato al Senato la notte tra il 21 ed il 22 dicembre 2007,  ed è intitolato ”Disposizioni concernenti la società italiani degli autori e degli editori”.

Che bel regalo per gli italiani! In pratica si tratta di un testo di legge che trasforma la SIAE da un ente di diritto pubblico ad un ente di diritto privato, sottraendola dalla giurisdizione della magistratura amministrativa per sottoporla quindi a quella ordinaria. Una riforma che aumenta a dismisura il potere che quest’organismo detiene in Italia.

Ma non si tratta solo di questo:  il disegno di legge in questione fa discutere, infatti, anche per l’introduzione di una vera e propria ”perla” che arricchisce il già discutibile contenuto del testo. Si tratta del comma uno bis dell’art 70, una modifica voluta tra gli altri da Folena (presidente della commissione Cultura della Camera dei deputati), e Guadagno (conosciuto da molti con il nome di Vladimir Luxuria).

Cosa prevede? Ecco il testo integrale:È consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet a titolo gratuito di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradati, per uso didattico o enciclopedico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentito il Ministro della pubblica istruzione e dell'università e della ricerca, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sono definiti i limiti all'uso didattico o enciclopedico di cui al precedente periodo”.

Anche dopo una lettura superficiale, ci si accorge immediatamente dell’assurdità di questo comma. Innanzitutto sorgono dei dubbi sul significato dei termini “bassa risoluzione o degradati”. Il confine per definizioni del genere, è piuttosto ambiguo (ed anche soggettivo). Ad esempio, per un fotografo professionista la risoluzione di una foto da 2 megapixel potrebbe esser considerata “bassa”, mentre per un semplice amatore potrebbe andare più che bene. La vera domanda, però, è: “a che pro” pubblicare un’opera degradata? Si vuole porre il limite del fine didattico e scientifico? Bene, ma almeno si permetta una pubblicazione decente che non rischi di stravolgere il file nella sua essenza. Un mp3 con un bitrate troppo basso, ad esempio, potrebbe risultare incomprensibile, e di conseguenza la sua pubblicazione del tutto inutile. In questo modo quindi tutti i ricercatori, gli scienziati ed i professori che volessero diffondere qualcosa in rete saranno costretti a modificare i loro file “in pejus” per rispettare i dettami della legge.

Ma il vero passaggio su cui soffermarsi riguarda il riferimento della legge alla necessità dell’assenza dello “scopo di lucro”, da sempre cruccio delle Major, probabilmente il vero motivo della gestazione di questo comma, nella quale si sancisce la libertà nella pubblicazione dei contenuti  purché non si guadagni nulla da quest’attività.

Ma se nel mio blog avessi ad esempio i famosi banner di Google, capaci di fruttare al massimo qualche centinaia di euro? Beh, probabilmente sarei costretto anche a pagare una tassa alla SIAE, perchè, agli atti, risulterebbe comunque il percepimento di un guadagno (seppur minimo ed irrilevante). Il vincolo dell’assenza dello scopo di lucro, inoltre, rimane strettamente collegato alla necessità di fini didattici e scientifici escludendo quindi tutte le possibili attività senza scopo di lucro ma con fini diversi dai sopra indicati. Insomma, dopo il decreto Levi sulla riforma dell’editoria, Montecitorio ha sfornato un’altra legge scritta male e ricca dei soliti messaggi ambigui, che lasciano spazio ad interpretazioni diverse e contraddittorie. Una legge rivolta solo ed esclusivamente ai contenuti pubblicati attraverso “la rete internet”, la quale punta evidentemente a ridimensionare la nostra libertà sul web. Vedremo in che modo sarà applicata... Stay tuned

Asus EEE pc recensione


ASUSTek computer Inc ha finalmente lanciato sul mercato il suo gioiellino,l’Asus EEE PC 701,un subnotebook(in Italia ”ultraportatile”)che tanti appassionati di hi tech attendevano ormai da parecchio tempo…e si è ben visto,dato che nelle prime ore seguenti alla sua commercializzazione(avvenuta per ora solo sul mercato americano e asiatico),si calcola che ne sia stato venduto circa uno ogni 2 secondi.Numeri quasi da record insomma(il “quasi” è d’obbligo visti gli straordinari risultati recenti ottenuti dell’Iphone della Apple!!).

Linea ben studiata,display LCD da 7”,peso ridotto(appena 0,92kg),chipset WiFi e sistema operativo Linux sono le caratteristiche principali di questo Asus che può esser considerato uno dei prodotti hi tech più interessanti dell’anno.

Ma il segreto del successo dell’EEE pc701 è senz’altro l’ottimo rapporto qualità/prezzo, ottenuto grazie all’intelligente politica commerciale che ha sposato Asus nella progettazione dello stesso. A causa degli elevati prezzi dei subnotebook,l’acquirente tipo di questi prodotti in genere è il classico professionista che non bada a spese per poter usufruire delle funzioni essenziali di un pc quando si trova lontano dal proprio ufficio e desidera evitare le ingombranti borse dei normali portatili ed i loro metri di cavi. Ma è anche vero che l’utilizzo effettivo solitamente si riduce allo sfruttamento di poche risorse(gestione di documenti Office e lettura della posta elettronica).La casa taiwanese per l’EEE pc 701 quindi ha puntato su un prodotto ottimizzato per l’utilizzo di queste funzioni basilari scegliendo componenti hardware meno potenti per mantenere dei prezzi contenuti in modo da potersi rivolgere ad un pubblico di potenziali acquirenti più vasto possibile.Lo slogan “easy to learn,easy to work,easy to play”che Asus sta usando per pubblicizzare il suo prodotto infatti,si rivolge ad un pubblico ben assortito,che va dal bambino al professionista,dallo studente al semplice appassionato di gadget elettronici.Con il Pc EEE701 infatti potremo navigare in rete,chattare utilizzando account di messaggistica istantanea ,ascoltare mp3,vedere un film o scrivere una mail,il tutto con un oggetto non molto più grande di un libro,ma pur sempre dotato di uno schermo da 7”e di una tastiera di dimensioni più che accettabili.Senz’altro innovativo poi si può considerare l’utilizzo dei nuovi modelli di hard disk Ssd,dischi rigidi fatti di memoria flash(la stessa delle memory card delle macchine fotografiche per intenderci)che garantiscono più potenza,velocità e resistenza agli urti,caratteristiche ideali per un ultra portatile.

L’Asus propone tre versioni differenti dell’EEE 701: la 8G,la 4G e la 4G Surf.La 8G è dotata di un hard disk da 8gb,1gb di Ram,una webcam integrata,e di una batteria da circa tre ore e mezza di autonomia;la 4G ha un hard disk da 4gb,512 mb di Ram,anch’essa una webcam integrata ed una batteria con analoga durata;l’ultima versione invece,la 4G surf,è simile alla 4G,se non fosse per una batteria con meno autonomia(siamo poco sotto le 3 ore di autonomia)e l’assenza della webcam.Tutte e tre le versioni sono dotate di un chipset WiFi 802.11b/g e di sistema operativo Linux con circa 40 programmi (tra cui Skype Openoffice e Firefox)già caricati e pronti per l’uso,anche se è possibile installare in alternativa,o insieme,a Xandros(il tipo di distro Linux installata)Windows XP.Ad onor del vero esiste anche una quarta versione,la 2G Surf,dotata di specifiche tecniche inferiori rispetto alle altre(hard disk da 2gb e 256mb di Ram)ma probabilmente verrà venduta solo nei paesi in via di sviluppo.

A questo punto vi starete chiedendo quali siano le somme da spendere per accaparrarsi uno di questi gioiellini:gli americani hanno sborsato cifre che vanno dai 299$ per la versione 4G Surf,fino ai 399$ della 8G.Con l’attuale cambio euro/dollaro speriamo che quando arrivi in Italia(secondo Asus dovremmo trovarlo negli scaffali dei nostri negozi orientativamente nel primo trimestre del 2008)mantenga gli stessi prezzi,anche se ne dubito fortemente visto le ingiustificate politiche dei prezzi applicate dalle grandi multinazionali straniere nel mercato europeo(in genere il cambio applicato è di 1$=1euro).Anche se fosse comunque,il prezzo sarebbe più che competitivo rispetto a quello dei suoi diretti concorrenti,dato che solitamente per l’acquisto di un ultraportatile non si spendono meno di 1000 euro. Insomma,acquisto più che consigliato.